sabato 17 settembre 2016

Un futuro possibile, ma non in Italia, certamente!

Da "Gagarin, orbite culturali", rivista mensile gratuita, anno 7 n.4, 10 settembre-10 novembre 2016, articolo di Stefania Mazzotti: "Reddito di base, un futuro possibile": - Lo scorso 5 giugno, la Svizzera è andata a votare per il referendum sul reddito di base. Il 77% ha votato no. L'idea che il reddito di base sia la panacea per una mandria di fannulloni scansafatiche è sicuramente quella più comune anche in Italia (di sicuro quella che fa più comodo pensare, aggiungo io). Ma potrebbe essere un pregiudizio. Proprio a partire dagli Stati Uniti, il Paese con il divario tra ricchi e poveri più elevato del mondo (ma mi sa tanto che, se andiamo avanti di questo passo, fra poco li battiamo, nota del sottoscritto), le ricerche politico-sociali sull'efficacia del reddito di base per il benessere della società si stanno moltiplicando: la prima fu finanziata dal conservatore Nixon nel 1969 e poi falsata nel raccoglimento dei dati e quindi mai applicata. Esperimenti su vasta scala dell'applicazione del reddito di base, sono stati avviati in Finlandia, dove, dal 2017, circa 10000 cittadini, riceveranno un assegno di 600 euro per 2 anni, ed in Canada, inoltre sono in discussione in 20 città dei Paesi Bassi. In Alaska, seppur in piccola scala, sono già stati raccolti alcuni risultati. Si è visto che il reddito di base non ha spinto i cittadini a lavorare di meno, se non nei maschi adolescenti che hanno scelto di studiare e nelle neo-mamme che hanno deciso di prendersi cura del proprio figlio. Insomma, parrebbe che il reddito di base possa ridurre le disuguaglianze sociali (figuriamoci in un paese classista e reazionario come il nostro, dico io) che sono alla base di questa recessione economica mondiale. "E' difficile immaginare che un giorno riusciremo a liberarci del dogma secondo cui, se vogliamo avere i soldi per vivere, dobbiamo lavorare. - spiega Rutger Bregman, giornalista olandese e autore di 'Utopia for realists' - Forse è arrivato il momento di liberarci dell'inutile distinzione tra 2 tipi di poveri e dell'equivoco che avevamo messo quasi da parte 40 anni fa: il pregiudizio secondo cui una vita senza povertà, è un privilegio che bisogna guadagnarsi lavorando, invece che un diritto di tutti." Ed allora, reddito di base per tutti. Pensate che meraviglia: potremmo dedicare maggior attenzione ai nostri cari, potremmo leggere, viaggiare (sì, come no, soprattutto con la fantasia, penso io), dedicarci alle arti, avere tempo per ideare un mondo migliore. Potremmo, in sostanza, essere più felici (ma và!). - Ah, beata ingenuità di codesta articolista (ma c'è o ci fa?), se penso alla mia situazione cronica, fatta, quando va bene, vista l'età non più giovanile, del girone infernale costituito da lavori socialmente (in)utili, borse lavoro, tirocini formativi, con relative retribuzioni da fame, ed è grasso che cola, condito da schiavismi da far impallidire "La capanna dello zio Tom", con un corollario di soprusi ed umiliazioni per avere queste briciole, vessato e preso in giro da cani e porci, oppure, quando va male, completamente abbandonato a me stesso, come in questo periodo, ove intorno a me è tutto uno scaricabarile dei più squallidi, con "proposte indecenti" che costituiscono un'autentica offesa alla propria dignità, se ci si aggiungono le bufale governative dei vari bonus promessi e non mantenuti, la truffa spudorata dei "voucher", le nefandezze degli "avvoltoi" sociali di quartiere, altro che felicità, qui sei condannato ad una progressiva, dolorosa agonia, che prelude a morte certa! Odio questa società lavorocentrica, dove il lavoro, che tu l'abbia oppure no, costituisce il tormentone che ti rovina l'esistenza, strumento perlopiù di ricatto e di sopraffazione: anche l'averlo, non ti sottrae comunque al rischio della povertà, se non addirittura della miseria più assoluta, stante il potere d'acquisto sempre più magro delle retribuzioni medie, con il costo della vita in continuo aumento. In questa geronto-mafiocrazia che è l'Italia, dove coloro che siedono ai posti di comando, hanno un che di patologico, endemico, paranoico, demenziale, nel loro bisogno fisiologico di vessare i deboli incommensurabilmente, al punto di preferire scientemente, nel loro voler perpetrare orgasmicamente all'infinito quest'inumana perversione, di condannare alla rovina eterna l'intera nazione (penso anche alla carognata illecita di attaccare il pagamento del canone tv alla bolletta dell'elettricità, fra le tante cose). Purtroppo, in Italia, si è venuta progressivamente a creare un'autentica "industria del povero", costituita da una serie di enti ed organizzazioni, sia pubbliche che ecclesiastiche, frutto di un patto scellerato e criminale fra lo stato italiano e la chiesa cattolica, alla quale il primo ha, anche se in maniera ufficiosa, delegato in pratica la gestione del disagio sociale, conferendole un potere che altrimenti non avrebbe più, per cui chi, come me, ateo, viene indotto, stante la voluta latitanza dei servizi sociali pubblici, a rivolgersi nella "tana del lupo", divenendo al contempo complice e vittima di questo meccanismo perverso, che dapprima ti "aiuta" finchè ne ha il tornaconto, dopodichè ti silura senza pietà alcuna. Ma l'intera faccenda merita una trattazione ben più ampia e per il momento mi fermo qui. Quel che è certo è che qui sono troppi gli interessi di coloro che prosperano spudoratamente su questo abnorme malaffare, che si cibano ingordamente dei cadaveri dei disgraziati come me, ai quali vengono volutamente tarpate le ali, poichè non si vuole certamente che si affranchino dalla loro condizione di bisogno (quest'anno ci sarei finalmente riuscito, se non mi avessero messo carognescamente i bastoni fra le ruote), altrimenti non sono più ricattabili e sfruttabili, altro che reddito di base, ovvero reddito di cittadinanza!  

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